sabato 15 giugno 2013

Fuga e ritorno!!!




Superammo con facilità i novizi del monastero che in massima parte non riuscirono nemmeno a vederci, ma ad un tratto qualcuno ci richiamò: era un altro religioso, ma non faceva parte della cerchia degli Shaolin. E per un attimo mi sembrò che ce l’avesse con me…
Ignorammo bellamente le sue esortazioni a fermarci e a combattere, raggiungemmo le linee alleate e fummo trasportati a bordo del sommergibile.
Yokoi aveva urgente bisogno di cure più approfondite di quelle che aveva potuto frettolosamente prestargli Egami, e lo lasciammo in infermeria. Uscendo, gli sentimmo chiedere a gran voce del saké.
Finalmente tranquilli, porsi la reliquia a Tori che in quanto antropologo aveva maggior possibilità di capire di cosa si trattasse, e infatti la riconobbe: era stata tagliata da una lama di incredibile precisione, ma era senza dubbio una metà della corona del primo imperatore cinese Qin Shi Huang, quello che in vita aveva fatto costruire la Grande Muraglia, e poi l’esercito di fanti di terracotta per il proprio mausoleo funebre.
Di lui è risaputo che era ossessionato dall’immortalità, e questo faceva capire come mai il Reich fosse sulle tracce dei suoi oggetti.

Andammo a fare rapporto al colonnello Takemoro, e ci divertimmo a sottolineare con il suo superiore che Yokoi, l’unico ad essere stato ferito, per riprendersi aveva chiesto abbondanti quantitativi di saké. L’abituale compostezza dell’ufficiale davanti a quella plateale insinuazione di mancanza di contegno cedette, lasciando correre un fremito sulle labbra sottili.
Come sono buffe le persone sincere, si aspettano che tutti abbiano le loro stesse inclinazioni!
Sorvolando sui dettagli della condotta del proprio sottoposto, sui quali eravamo certi che avrebbe indagato, si disse molto soddisfatto della buona riuscita della nostra missione e ci confermò che entro due ore gli inviati della Kobayashi Maru, il gruppo dei prodigi di cui faceva parte Shirai, la geisha megalomane, avrebbero ritirato l’oggetto. Infatti non tardarono, ed era proprio lei a guidare il drappello di fanteria scelta che avrebbe portato via il prezioso reperto.
Ebbi il piacere di gustare la sua perplessità quando Tori estrasse la mezza corona dal fundoshi, il cingilombi tradizionale. Tuttavia non si scompose più di tanto, lo prese e mentre si allontanava si rivolse a Yokoi, semisdraiato su una barella e piuttosto brillo. “Sei stato ferito” disse con voce incolore.
“Sì,” rispose lui, “mi hanno ridotto l’armatura a coriandoli, ma ce l’ho fatta anche questa volta. Ti stai forse preoccupando?”
“Non è più affar mio, qualcun’altra ti piangerà.”
Ah, quindi c’è stato del tenero tra il samurai e la geisha. Come nei più prevedibili drammi del teatro kabuki, d’altronde.
Il colonnello ci raccomandò di riposarci e rimetterci in forze, perché eravamo stati avvisati dal servizio segreto che una unità composta da 5 prodigi canadesi avrebbe raggiunto entro poche ore Hong Kong e noi saremmo stati gli unici in grado di opporre una reale resistenza alla loro offensiva.
Io posai lo sguardo su Yokoi, al quale le cui costole incrinate e ferite sanguinanti non avevano impedito di rispondere con voce sonora che era pronto a offrire la vita per l’Imperatore.
E mi chiesi se ero fatta della pasta giusta per passare da una missione all’altra fino a lasciarci la pelle.

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