mercoledì 5 giugno 2013

Il nemico dentro...



Tori con pochi pugni ben assestati aveva distrutto i mezzi corazzati, e gli ultimi superstiti atterriti non osavano neppure cercare di scappare. Li interrogammo sull’arma, ma sembrava non sapessero di cosa stavamo parlando. Li uccidemmo tutti, e decollammo con un piccolo aereo civile per cercare di vedere dall’alto gli enormi crateri. Nessun segno.
Sembrava impossibile, ma le nostre informazioni erano davvero sbagliate.
Ci dirigemmo al largo, al rendez-vous con il nostro sommergibile. Ammarammo, e rientrammo alla portaerei acclamati come eroi. Noi non dicevamo una parola, con la scusa che avevamo la consegna del silenzio fino al momento in cui avessimo fatto rapporto al nostro comandante, ma questo non frenava l’esultanza dei soldati che avevano riportato a casa la pelle quasi tutti, onorati da una soverchiante vittoria sul nemico invasore colto completamente alla sprovvista.
Quando fummo al cospetto del grande ammiraglio Yamamoto, in realtà un omino minuto e ben oltre la mezz’età, ci venne spiegato che la notizia del bluff del nemico era arrivata alla nostra intelligence, ma solo dopo che eravamo partiti. Quindi avevamo rischiato la pelle per niente. Avevamo ucciso per niente. Avevamo attaccato il nemico partendo da una minaccia falsa.
La dichiarazione di guerra agli Stati Uniti, che finalmente era stata consegnata, era la sola certezza con cui avremmo dovuto misurarci a partire da quel giorno.
Yamamoto giunse ad affermare che avremmo potuto anche rivelare agli altri soldati che la nostra missione si era risolta in un fallimento, ma ci fece riflettere sul fatto che non avrebbe giovato a nessuno distruggere il loro entusiasmo.
Preso congedo dall’ammiraglio, uscimmo sul ponte della nave, tra i soldati in festa.
Mi ritrovai a parlare con Tori. Condivideva le mie stesse perplessità, ma in modo molto più deciso: riteneva che tutte le meccaniche che avevano portato all’attacco fossero gravemente viziate dalla falsità delle loro premesse, e che questo macchiasse in modo inesorabile il nostro ingresso in guerra col marchio del disonore.
Riteneva anche altamente improbabile che il grande ammiraglio non fosse consapevole di tutta la macchinazione, in quanto le ricognizioni preliminari all’attacco non potevano non essere finite esattamente come la nostra: senza trovare nulla. “Forse Yamamoto ha subito come noi queste macchinazioni, ma non riesco a credere che non se ne fosse reso conto!”
Mi sentivo straordinariamente vicina a quell’uomo, un antropologo costretto alla guerriglia.
E nello stesso tempo sentivo la lontananza di tutti gli altri, semplici soldati ebbri di vittoria e infinitamente miopi riguardo alla profondità dell’abisso sul cui orlo stavamo camminando.

Dal diario di E.G.Kogoro (Nadia Baldisseri)

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