martedì 4 giugno 2013

Il vento dell'Est soffia feroce...



Ad accoglierci sul ponte della portaerei Akagi venne il comandante Tojo in persona, che ci comunicò che un paio d’ore di tranquillità ci sarebbero state concesse prima di venire teletrasportati oltre da Shirai Sakura, un altro prodigio appartenente al gruppo denominato “Okinami” dotata del dono di controllare le ombre e di muoversi attraverso esse.
Quando la vidi devo ammettere che restai colpita dalla sua presenza scenica: si presentava avvolta dalla vita in giù in broccati scintillanti di fili d’oro nella luce del mattino, con il torso nudo coperto di biacca come i volti delle geishe, con le labbra rosso scuro come fragole mature e le sopracciglia, nere come le pupille, che le tagliavano come lame la fronte.
Accarezzò con un sorriso l’armatura da samurai di Yokoi, ma quando il suo sguardo si posò su Tori e su di me la perfezione della sua fronte candida si spezzò in un’espressione di disprezzo.
Ah, ecco un’altra invasata che disprezza i “cosiddetti civili”.
Infusi nella mia espressione tutto il biasimo che suscitano in me le menti che non sanno vedere le sfumature. Di sicuro non avrà capito, ma non è un problema mio.
Ci teletrasportò a pochi chilometri dall’aeroporto civile nel cui hangar numero 3 era custodita l’arma. Ancora una volta ci stupimmo della mancanza di onore di un popolo pronto a farsi scudo con le vite dei propri civili.
Tori assunse le proprie sembianze di colosso, e mi ritrovai quasi a ridere del nostro terzetto composto da un enorme e nerboruto gigante, un samurai in armatura completa e una donna.
Yokoi tagliò con la sua katana la rete di ferro che delimitava i confini dell’aeroporto. Nessuno era in vista, ma attribuimmo la scarsa vigilanza all’attacco che ormai era in pieno svolgimento e che probabilmente aveva assorbito tutte le attenzioni dei nostri nemici. Tori non poteva passare dal buco, quindi espiantò letteralmente due pali della recinzione, e passò oltre.
Arrivammo all’hangar 3, e lo scoprimmo completamente vuoto.
Nel piccolo ufficio c’erano diversi dossier pieni di fatture e bolle di carico, ma nulla che fosse ascrivibile in alcun modo ad armi o a progetti bellici.
Le nostre informazioni sembravano errate.
Decidemmo di passare all’hangar numero 2, ma in quella sentimmo delle voci sopraggiungere: erano gli yankee, almeno una dozzina, e avevano con se un mezzo corazzato e due carri armati Sherman. Tori ci abbrancò e saltò sul tetto trasportandoci come due fuscelli, e da lì Yokoi saltò con una velocità e un’agilità portentosa da un edificio all’altro, tagliando i tetti di lamiera come se fossero di burro e cercando i nostri obiettivi. Né il capannone 2 né tantomeno l’1 contenevano alcunché, quindi passammo al 4. I nemici si accorsero dei nostri movimenti, e ci attaccarono. Yokoi scese nel bel mezzo di un gruppo di 10 soldati e ne affettò 6 in un battito di ciglia, mentre Tori partì correndo a tutta velocità verso i mezzi corazzati. Io chiamai a me le mie lame mistiche, che obbedienti uscirono con naturalezza dal mio pugno, e saltai tra i quattro guerrieri superstiti. Tre non completarono il loro respiro successivo, mentre il quarto riuscì, prima di darsi alla fuga, a ferirmi alla tempia.

 Dal diario di E.G.Kogoro (Nadia Baldisseri)

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