Era una di quelle convocazioni da cui non si può esimere.
La sera del 6 dicembre 1941 io, Kogoro Elizabeth Glorianna e
l’antropologo Tori Riuzo eravamo stati convocati dal colonnello Okizawa, per
ricevere degli ordini ai quali, pur non essendo che semplici civili, dovevamo
obbedire alla lettera. Assieme all’ufficiale Yokoi Shoichi ci saremmo dovuti
introdurre nella base americana di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii, per
distruggere il prototipo di una nuova arma creata dagli yankee: un cannone
dalla foggia ai limiti della fantascienza, ma delle cui prestazioni avevamo
potuto vedere alcune prove fotografiche recuperate dal D.I.D., il nostro
servizio segreto: crateri del diametro di almeno cinquecento metri e profonde
come laghi. La cosa più inquietante è che la portata di quella nuova arma
avrebbe permesso agli Stati Uniti di colpire attraversando 1.200 chilometri
di oceano Pacifico, quindi l’incolumità del Giappone stesso era a rischio. Recuperare
i piani per poter ricreare quell’arma sul nostro territorio era la nostra
missione secondaria.
Eravamo stati scelti, come ci stava spiegando il colonnello,
per alcune caratteristiche particolari: Yokoi è un prodigio naturale dotato di
una velocità sovrumana, Tori è il Custode di una cinta appartenuta a un
condottiero cinese che lo trasmuta in un colosso di quasi tre metri di altezza
e dall’umore mai del tutto buono, mentre io, grazie al discutibile dono
impiantatomi in laboratorio in seguito alle macchinazioni di mio padre, sono una
telepate e una guerriera in grado di evocare lame mistiche. Io avrei preferito
servire il mio paese portando solo Kurodachi, la lama di famiglia che colpisce
con particolare ferocia i Custodi e i Mistici, purtroppo però questo non poteva
bastare al mio ambizioso genitore… Ma è inutile rivangare il passato.
Nessuna obiezione era prevista né immaginabile, davanti alla
chiamata del nostro splendente Imperatore. La solita piccola smorfia sul mio
viso era la sola manifestazione del mio stato d’animo, e si è solo un po’
approfondita quando ho compreso che la nostra operazione sarebbe coincisa con
un attacco aereo a sorpresa alla base degli yankee. “Ma non è stata dichiarata
guerra agli Stati Uniti!” ho esclamato.
“E non sarà dichiarata prima dell’attacco.” Confermò il
colonnello.
Ormai nemmeno più il Dai Nippon Teikoku, l’Impero del
Grande Giappone, manteneva alto l’onore delle tradizioni dei nostri avi. Ancora
una volta mi ritrovai a riflettere sulla mia natura di mezzosangue, figlia di
un diplomatico nipponico corrotto dalla propria ambizione e di una giovenca yankee,
mai conosciuta. Quale delle mie due nature era più repellente? Quale dei due
popoli? Zittii ancora una volta quella mia flebile protesta mentale, certa che tutto
il mondo è paese e che nessuna nazione merita più degli altri di essere obbedita.
Ci chiamano prodigi per solleticare il nostro ego, in realtà siamo solo schiavi
particolarmente utili.
Decollammo alla volta delle Hawaii. Dopo un’intera notte di
volo pigiati come sardine atterrammo su una delle portaerei che avrebbe
trasportato i nostri aerei all’attacco. Immaginare che fosse stata creata
un’arma in grado di attraversare una simile distanza mi inquietava: meritava
senza dubbio di essere distrutta, e riguardo al recupero dei piani… beh, forse
non sarebbero mai stati recuperati. Sono così tante le cose che possono andare
storte in una simile missione.
Dal diario di E.G.Kogoro (Nadia Baldisseri)
Dal diario di E.G.Kogoro (Nadia Baldisseri)
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