lunedì 3 giugno 2013

Tora, Tora, Tora



Era una di quelle convocazioni da cui non si può esimere.
La sera del 6 dicembre 1941 io, Kogoro Elizabeth Glorianna e l’antropologo Tori Riuzo eravamo stati convocati dal colonnello Okizawa, per ricevere degli ordini ai quali, pur non essendo che semplici civili, dovevamo obbedire alla lettera. Assieme all’ufficiale Yokoi Shoichi ci saremmo dovuti introdurre nella base americana di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii, per distruggere il prototipo di una nuova arma creata dagli yankee: un cannone dalla foggia ai limiti della fantascienza, ma delle cui prestazioni avevamo potuto vedere alcune prove fotografiche recuperate dal D.I.D., il nostro servizio segreto: crateri del diametro di almeno cinquecento metri e profonde come laghi. La cosa più inquietante è che la portata di quella nuova arma avrebbe permesso agli Stati Uniti di colpire attraversando 1.200 chilometri di oceano Pacifico, quindi l’incolumità del Giappone stesso era a rischio. Recuperare i piani per poter ricreare quell’arma sul nostro territorio era la nostra missione secondaria.
Eravamo stati scelti, come ci stava spiegando il colonnello, per alcune caratteristiche particolari: Yokoi è un prodigio naturale dotato di una velocità sovrumana, Tori è il Custode di una cinta appartenuta a un condottiero cinese che lo trasmuta in un colosso di quasi tre metri di altezza e dall’umore mai del tutto buono, mentre io, grazie al discutibile dono impiantatomi in laboratorio in seguito alle macchinazioni di mio padre, sono una telepate e una guerriera in grado di evocare lame mistiche. Io avrei preferito servire il mio paese portando solo Kurodachi, la lama di famiglia che colpisce con particolare ferocia i Custodi e i Mistici, purtroppo però questo non poteva bastare al mio ambizioso genitore… Ma è inutile rivangare il passato.
Nessuna obiezione era prevista né immaginabile, davanti alla chiamata del nostro splendente Imperatore. La solita piccola smorfia sul mio viso era la sola manifestazione del mio stato d’animo, e si è solo un po’ approfondita quando ho compreso che la nostra operazione sarebbe coincisa con un attacco aereo a sorpresa alla base degli yankee. “Ma non è stata dichiarata guerra agli Stati Uniti!” ho esclamato.
“E non sarà dichiarata prima dell’attacco.” Confermò il colonnello.
Ormai nemmeno più il Dai Nippon Teikoku, l’Impero del Grande Giappone, manteneva alto l’onore delle tradizioni dei nostri avi. Ancora una volta mi ritrovai a riflettere sulla mia natura di mezzosangue, figlia di un diplomatico nipponico corrotto dalla propria ambizione e di una giovenca yankee, mai conosciuta. Quale delle mie due nature era più repellente? Quale dei due popoli? Zittii ancora una volta quella mia flebile protesta mentale, certa che tutto il mondo è paese e che nessuna nazione merita più degli altri di essere obbedita. Ci chiamano prodigi per solleticare il nostro ego, in realtà siamo solo schiavi particolarmente utili.
Decollammo alla volta delle Hawaii. Dopo un’intera notte di volo pigiati come sardine atterrammo su una delle portaerei che avrebbe trasportato i nostri aerei all’attacco. Immaginare che fosse stata creata un’arma in grado di attraversare una simile distanza mi inquietava: meritava senza dubbio di essere distrutta, e riguardo al recupero dei piani… beh, forse non sarebbero mai stati recuperati. Sono così tante le cose che possono andare storte in una simile missione.

Dal diario di E.G.Kogoro (Nadia Baldisseri)

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