Superammo con facilità i novizi del
monastero che in massima parte non riuscirono nemmeno a vederci, ma ad un
tratto qualcuno ci richiamò: era un altro religioso, ma non faceva parte della
cerchia degli Shaolin. E per un attimo mi sembrò che ce l’avesse con me…
Ignorammo bellamente le sue esortazioni a
fermarci e a combattere, raggiungemmo le linee alleate e fummo trasportati a
bordo del sommergibile.
Yokoi aveva urgente bisogno di cure più
approfondite di quelle che aveva potuto frettolosamente prestargli Egami, e lo
lasciammo in infermeria. Uscendo, gli sentimmo chiedere a gran voce del saké.
Finalmente tranquilli, porsi la reliquia a
Tori che in quanto antropologo aveva maggior possibilità di capire di cosa si
trattasse, e infatti la riconobbe: era stata tagliata da una lama di
incredibile precisione, ma era senza dubbio una metà della corona del primo
imperatore cinese Qin Shi Huang, quello che in vita aveva fatto costruire la
Grande Muraglia, e poi l’esercito di fanti di terracotta per il proprio mausoleo
funebre.
Di lui è risaputo che era ossessionato
dall’immortalità, e questo faceva capire come mai il Reich fosse sulle tracce
dei suoi oggetti.
Andammo a fare rapporto al colonnello
Takemoro, e ci divertimmo a sottolineare con il suo superiore che Yokoi,
l’unico ad essere stato ferito, per riprendersi aveva chiesto abbondanti
quantitativi di saké. L’abituale compostezza dell’ufficiale davanti a quella
plateale insinuazione di mancanza di contegno cedette, lasciando correre un
fremito sulle labbra sottili.
Come sono buffe le persone sincere, si
aspettano che tutti abbiano le loro stesse inclinazioni!
Sorvolando sui dettagli della condotta del
proprio sottoposto, sui quali eravamo certi che avrebbe indagato, si disse
molto soddisfatto della buona riuscita della nostra missione e ci confermò che
entro due ore gli inviati della Kobayashi Maru, il gruppo dei prodigi di cui
faceva parte Shirai, la geisha megalomane, avrebbero ritirato l’oggetto.
Infatti non tardarono, ed era proprio lei a guidare il drappello di fanteria
scelta che avrebbe portato via il prezioso reperto.
Ebbi il piacere di gustare la sua
perplessità quando Tori estrasse la mezza corona dal fundoshi, il cingilombi
tradizionale. Tuttavia non si scompose più di tanto, lo prese e mentre si allontanava
si rivolse a Yokoi, semisdraiato su una barella e piuttosto brillo. “Sei stato
ferito” disse con voce incolore.
“Sì,” rispose lui, “mi hanno ridotto
l’armatura a coriandoli, ma ce l’ho fatta anche questa volta. Ti stai forse
preoccupando?”
“Non è più affar mio, qualcun’altra ti
piangerà.”
Ah, quindi c’è stato del tenero tra il
samurai e la geisha. Come nei più prevedibili drammi del teatro kabuki,
d’altronde.
Il colonnello ci raccomandò di riposarci e
rimetterci in forze, perché eravamo stati avvisati dal servizio segreto che una
unità composta da 5 prodigi canadesi avrebbe raggiunto entro poche ore Hong
Kong e noi saremmo stati gli unici in grado di opporre una reale resistenza
alla loro offensiva.
Io posai lo sguardo su Yokoi, al quale le
cui costole incrinate e ferite sanguinanti non avevano impedito di rispondere
con voce sonora che era pronto a offrire la vita per l’Imperatore.
E mi chiesi se ero fatta della pasta giusta
per passare da una missione all’altra fino a lasciarci la pelle.