Ad accoglierci sul ponte della portaerei Akagi venne il
comandante Tojo in persona, che ci comunicò che un paio d’ore di tranquillità
ci sarebbero state concesse prima di venire teletrasportati oltre da Shirai Sakura,
un altro prodigio appartenente al gruppo denominato “Okinami” dotata del dono di
controllare le ombre e di muoversi attraverso esse.
Quando la vidi devo ammettere che restai colpita dalla sua
presenza scenica: si presentava avvolta dalla vita in giù in broccati
scintillanti di fili d’oro nella luce del mattino, con il torso nudo coperto di
biacca come i volti delle geishe, con le labbra rosso scuro come fragole mature
e le sopracciglia, nere come le pupille, che le tagliavano come lame la fronte.
Accarezzò con un sorriso l’armatura da samurai di Yokoi, ma
quando il suo sguardo si posò su Tori e su di me la perfezione della sua fronte
candida si spezzò in un’espressione di disprezzo.
Ah, ecco un’altra invasata che disprezza i “cosiddetti civili”.
Infusi nella mia espressione tutto il biasimo che suscitano
in me le menti che non sanno vedere le sfumature. Di sicuro non avrà capito, ma
non è un problema mio.
Ci teletrasportò a pochi chilometri dall’aeroporto civile
nel cui hangar numero 3 era custodita l’arma. Ancora una volta ci stupimmo
della mancanza di onore di un popolo pronto a farsi scudo con le vite dei
propri civili.
Tori assunse le proprie sembianze di colosso, e mi ritrovai
quasi a ridere del nostro terzetto composto da un enorme e nerboruto gigante,
un samurai in armatura completa e una donna.
Yokoi tagliò con la sua katana la rete di ferro che
delimitava i confini dell’aeroporto. Nessuno era in vista, ma attribuimmo la
scarsa vigilanza all’attacco che ormai era in pieno svolgimento e che probabilmente
aveva assorbito tutte le attenzioni dei nostri nemici. Tori non poteva passare
dal buco, quindi espiantò letteralmente due pali della recinzione, e passò
oltre.
Arrivammo all’hangar 3, e lo scoprimmo completamente vuoto.
Nel piccolo ufficio c’erano diversi dossier pieni di fatture
e bolle di carico, ma nulla che fosse ascrivibile in alcun modo ad armi o a
progetti bellici.
Le nostre informazioni sembravano errate.
Decidemmo di passare all’hangar numero 2, ma in quella
sentimmo delle voci sopraggiungere: erano gli yankee, almeno una dozzina, e
avevano con se un mezzo corazzato e due carri armati Sherman. Tori ci abbrancò
e saltò sul tetto trasportandoci come due fuscelli, e da lì Yokoi saltò con una
velocità e un’agilità portentosa da un edificio all’altro, tagliando i tetti di
lamiera come se fossero di burro e cercando i nostri obiettivi. Né il capannone
2 né tantomeno l’1 contenevano alcunché, quindi passammo al 4. I nemici si
accorsero dei nostri movimenti, e ci attaccarono. Yokoi scese nel bel mezzo di
un gruppo di 10 soldati e ne affettò 6 in un battito di ciglia, mentre Tori partì
correndo a tutta velocità verso i mezzi corazzati. Io chiamai a me le mie lame
mistiche, che obbedienti uscirono con naturalezza dal mio pugno, e saltai tra i
quattro guerrieri superstiti. Tre non completarono il loro respiro successivo,
mentre il quarto riuscì, prima di darsi alla fuga, a ferirmi alla tempia.
Dal diario di E.G.Kogoro (Nadia Baldisseri)
Dal diario di E.G.Kogoro (Nadia Baldisseri)
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